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Il mobbing è una forma di violenza psicologica che avviene sul luogo di lavoro ai danni di un dipendente o di un collega. Questo fenomeno va distinto da una situazione generale di stress, in quanto presenta delle peculiarità ben precise. Inoltre, nelle sue manifestazioni più gravi e ripetute, può incidere molto negativamente sulla salute fisica e psichica della vittima.
In questo articolo approfondiremo che cos’è il mobbing, quali sono le azioni che lo caratterizzano, che legame ha con ansia e depressione e cosa dice la legge italiana in merito a questa aggressione lavorativa.

Con il termine “mobbing” si fa riferimento a una serie di comportamenti vessatori e persecutori messi in atto da un superiore o dai colleghi nei confronti di un lavoratore, con l’obiettivo di isolarlo ed emarginarlo.
Il mobbing si contraddistingue – e si differenzia per esempio dai “semplici” episodi di contrasto con colleghi o titolari – per essere un fenomeno ripetuto e protratto nel tempo che si manifesta attraverso atteggiamenti quali, per esempio, umiliazioni, intimidazioni, aggressioni verbali e offese, che possono portare il dipendente a una condizione di forte disagio psicologico e, in alcuni casi, alla depressione.
La parola deriva dal verbo inglese to mob, che significa “affollarsi intorno a qualcuno”, “assalire, malmenare, aggredire” e viene utilizzata in etologia, (la scienza che studia il comportamento animale), per indicare l’azione attuata da un gruppo di possibili prede nei confronti di un predatore, al fine di intimorirlo ed evitare che attacchi. Il primo a parlare di mobbing come persecuzione psicologica sul posto di lavoro fu lo psicologo Heinz Leymann, alla fine degli anni Ottanta.
Il mobbing non va confuso con il concetto generale di stress sul luogo di lavoro – anche se può causarlo, come vedremo – ed è bene distinguerlo dalle forme di conflitto che talvolta si verificano con colleghi e referenti.
Spesso il mobbing viene confuso con lo “straining”, termine con cui però si intende un fenomeno leggermente diverso, sebbene non meno grave o preoccupante. Lo straining è caratterizzato da un rapporto conflittuale, difficile e di natura denigratoria tra uno o più lavoratori e la vittima, ma è diverso dal mobbing perché non c’è costanza, ripetitività e continuità nelle azioni vessatorie.
Quindi, possiamo dire che lo straining è costituito da poche azioni isolate, spesso però talmente gravi da incidere comunque sulla salute psicofisica del dipendente, mentre il mobbing è definito proprio dalla sistematicità delle vessazioni.
eternalcreative/gettyimages.it
Come accennato, il mobbing può sfociare in sintomi quali ansia e depressione, disturbo post-traumatico da stress, ovvero una risposta ritardata o protratta a un evento stressante, ma anche nel disturbo dell’adattamento, una condizione di tipo emozionale che insorge nel periodo che segue a un episodio particolarmente stressante. Ricordiamo, inoltre, che il mobbing può rientrare anche tra la cause della sindrome da burnout, ovvero – in base alla definizione dell’OMS – uno stress cronico e persistente dovuto al lavoro.
Generalmente, nello stadio iniziale del mobbing la vittima percepisce una situazione di disagio fisico ed emotivo, causato dallo stato di confusione in cui, suo malgrado, si ritrova. Con il tempo e con il ripetersi degli episodi di vessazione e isolamento, questa condizione evolve in incertezza e paura di sbagliare, che, progressivamente, fanno purtroppo sentire la vittima sempre meno all’altezza e sempre più distaccata dal luogo di lavoro e dalle mansioni stesse.
Quando l’efficienza sul lavoro continua a diminuire, per via del disagio provato, dell’insicurezza e degli ostacoli provocati dal o dai mobber, l’autostima si riduce e il lavoratore cade in un circolo vizioso che provoca un calo nella qualità del lavoro, come anche un netto peggioramento nello stato di salute della persona. Tutto ciò può influire negativamente su altri ambiti, come quello sociale e familiare: per esempio, questo periodo molto difficile può portare a un allentamento dei legami familiari e di amicizia, una fuga dai rapporti sociali, e un distacco dalle responsabilità che si hanno in famiglia.
La conseguenze sulla salute mentale della persona mobbizzata si presentano spesso sotto forma di ansia, con manifestazioni come fobie e depressione dell’umore, e con conseguente apatia, scarsa volontà di agire, incapacità di progettare il futuro, difficoltà a concentrarsi, insonnia e insicurezza. In alcuni casi si riscontra la presenza di pensieri ricorrenti, relativi al lavoro, nonché di incubi legati alla situazione professionale.
Questi sintomi possono essere accompagnati da manifestazioni psicosomatiche, alcune delle quali già accennate, tra cui cefalea, disturbi gastrici, tachicardia, manifestazioni cutanee, – e da disturbi del comportamento, pensiamo ai disturbi alimentari, all’aumento di consumo di alcolici, farmaci e fumo, oppure alle reazioni aggressive.
A livello psico-sociologico, sono state normate diverse diverse classificazioni di mobbing. Citiamo le più frequenti e facilmente riscontrabili nel mondo del lavoro:
Parradee Kietsirikul/gettyimages.it
Il mobbing può comprendere azioni di vario tipo, ad esempio:
Il mobbing, come anticipato, può generare nella vittima una condizione di forte stress fisico ed emotivo che si riflette sulla sua salute. Alcune possibili conseguenze fisiche, psicologiche e comportamentali sono:
Secondo i dati Ispesl del 2021, le vittime di mobbing in Italia sono circa 1 milione e mezzo, su un totale di circa di 21 milioni di occupati.
Una ricerca svolta da AIDP – Associazione Italiana per la Direzione del Personale – nel 2022 è entrata maggiormente nel dettaglio della questione, coinvolgendo nel sondaggio più di 600 dirigenti delle risorse umane e del personale. Secondo le risposte ottenute, nel 65% dei casi gli episodi di mobbing avvengono in presenza di testimoni, i già citati co-mobber.
Il 40% delle vittime di questa violenza lavorativa sono donne e il 23% sono i lavoratori più giovani. Le persone con elevata anzianità ricoprirebbero il 7,5% delle vittime di mobbing, seguite dalle minoranze etniche (7%), dai dipendenti con orientamento sessuale non convenzionale (5,5%) e dalle persone con disabilità (5%).
Fortunatamente, la stessa ricerca evidenzia che, rispetto agli scorsi anni, per il 55% degli intervistati è aumentata la tendenza a denunciare questi episodi di violenza.
Non è sempre facile riconoscere una situazione di abuso psicologico e il mobbing non fa eccezioni. Spesso chi ne è vittima tende a sottovalutare la situazione – per non creare conflitti e per non perdere il posto di lavoro –, come anche a colpevolizzarsi e a mettere in discussioni le proprie capacità e i propri atteggiamenti.
Ecco quali sono i primi passi da compiere se si è vittime di mobbing sul posto di lavoro.
Il mobbing non rappresenta solo un problema per la vittima che, oltre a subire ricadute sulla salute, si trova spesso a far fronte a perdite economiche dovute ai costi per visite, cure e terapie. Anche l’azienda può subire dei danni finanziari a causa di questo fenomeno.
Come spiega il Center for Workplace Mental Health – situato a Washington e preposto a effettuare ricerche sulla gestione della salute mentale sul posto di lavoro –, le persone che subiscono mobbing hanno più probabilità di lasciare l’impiego, di essere assenteiste e di sentirsi insoddisfatte del proprio lavoro. Inoltre, fattori come la perdita di produttività, la rotazione dei dipendenti e i possibili contenziosi possono influire molto sui costi dell’impresa, senza contare che il mobbing può danneggiare l’immagine aziendale.
Per queste ragioni, il Centro ritiene molto importante che i datori di lavoro adottino delle strategie adeguate per prevenire e bloccare il mobbing, prima di tutto riconoscendo che il problema esiste e non minimizzando eventuali comportamenti aggressivi da parte di alcuni dipendenti, in più mettendo in atto una corretta formazione sul tema.
Zolak/gettyimages.it
Purtroppo, in Italia non esiste ancora una norma che tuteli lavoratori e lavoratrici dal mobbing. Tuttavia, il diritto italiano ci fornisce alcune importanti norme con cui proteggere comunque il benessere del lavoratore.
Prima tra tutte, la Costituzione, che tutela la salute dell’individuo e la dignità umana. Poi, il Codice Civile, che con l’articolo 2087 protegge l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori, e con il 2103 stabilisce che il lavoratore deve essere “adibito” alla mansione per la quale è stato assunto e non può essere trasferito altrove senza una giusta motivazione.
Gli articoli 660, 582, 590 e 610 del Codice Penale, inoltre, impongono conseguenze serie verso chi perpetra violenza privata, condotte vessatorie, intimidazioni, disturbi e molestie.
Infine, è utile sapere che gli articoli 7, 13 e 15 della legge 300/70 dello Statuto dei Lavoratori prevedono delle procedure disciplinari contro gli abusi sul luogo di lavoro e tutelano il lavoratore da eventuali atti discriminatori e dequalificanti.
Un clima disteso in azienda è fondamentale per garantire la serenità dei dipendenti e, di riflesso, il rendimento dell’impresa. Proprio per questo è importante puntare sul benessere organizzativo, anche attraverso prodotti sanitari specifici. Tra i servizi più richiesti dai datori di lavoro, ad esempio, troviamo le polizze sanitarie, come quelle che UniSalute mette a disposizione di fondi e aziende: il grande vantaggio, per i dipendenti, è quello di poter usufruire di sconti su prestazioni sanitarie di diagnostica e cura, in tempi brevi.
Ma non è tutto: i piani di welfare aziendale possono contare anche su realtà come SiSalute, marchio di UniSalute Servizi che si occupa della gestione di servizi sanitari non assicurativi, come pacchetti di flexible benefit in ambito sanitario, che permettono di accedere a prestazioni a prezzi agevolati presso le strutture sanitarie convenzionate. Tutti aspetti che possono sicuramente favorire i lavoratori e contribuire al loro benessere.
L’articolo Mobbing e depressione: fino a che punto l’ambiente lavorativo può influire sulla salute? sembra essere il primo su InSalute.
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